La Pietà e la Ragione
da: avvenire.it del 22-10-2011
La ragione stenta a prendere il sopravvento in questo crogiuolo di sentimenti dolenti che non hanno risposte, eppure deve farlo per poterci nutrire di speranza. Ci chiediamo, in tempi ravvicinati, se questa guerra di Libia decisa a tavolino era necessaria, se necessarie fossero le tante vittime che ha provocato tra gli innocenti e i colpevoli, distruggendo mezzo Paese che non meritava di essere martoriato. Se la decisione non sia stata affrettata, sollecitata perfino dall’enfatizzazione degli eventi, dettata da interessi di alcuni Stati o potentati economici, che non hanno lasciato spazio ad alternativa. È una domanda legittima perché le distruzioni e le tragedie che ne sono derivate ci fanno sentire in qualche modo colpevoli per non aver saputo evitare il peggio. Ma possiamo interrogarci anche sul ruolo internazionale che l’Occidente vuole svolgere. Perché da più d’un secolo tanti Paesi democratici, e di antica civiltà, seguono una strada ambigua e contorta, nell’accettare, incoraggiare, blandire, a volte in modo non degno e neanche utile, le peggiori dittature, e poi scoprono d’un tratto che gli stessi dittatori sono impresentabili, da cacciare, anche con guerre che oggi hanno il volto della tecnologia sempre più affinata e letale. Dobbiamo chiederci se davvero non si possa seguire una politica diversa che eviti questa “doppia verità” del dittatore accettabile o impresentabile, amico da accogliere oppure orco da sopprimere, a seconda delle convenienze e delle utilità. Una politica che riconosca, progressivamente isoli, le dittature, spingendo a un cambiamento interno dei peggiori regimi, ovunque si trovino e da chiunque siano diretti, farebbe fare un formidabile passo in avanti alla convivenza e alla pacificazione dei popoli, eviterebbe sciagure e tragedie che si ripetono con impressionante similitudine.
Non è facile scegliere questa strada, una dose di realismo è sempre necessario, e d’altronde la politica non realizza mai sulla terra l’ideale cui si aspira. Eppure, le immagini di Gheddafi e la memoria delle sue vittime ci dicono, ci gridano dentro, che neanche noi siamo innocenti. Non lo eravamo quando abbiamo accarezzato il dittatore, non lo siamo oggi quando per eliminarlo – dopo un’iniziale affermazione di puro intendimento umanitario – abbiamo sacrificato persone e princípi, coerenza e saggezza di comportamento. Ancora un interrogativo resta sospeso nella nostra coscienza, che avvolge l’intero 2011 che si sta consumando e ha visto cadere i regimi del Nord Africa. Dobbiamo porci il problema se siamo di fronte a una autentica primavera politica, che produrrà democrazia e diritti umani, o se alle ribellioni non seguiranno scelte autoritarie, repressione e ostilità per le minoranze, una nuova arroganza dei vincitori. Nessuno può dare una risposta, e alcuni segnali non sono incoraggianti, ma il risultato conclusivo dipenderà anche da noi, da un Occidente che riveda in modo stabile il suo atteggiamento verso le dittature e i regimi autoritari, di qualsiasi colore e natura siano.
Carlo Cardia
Fonte: http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/la-pietà-e-la-ragione.aspx
22 ottobre 2011
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