INUTILI ma SERVI

INUTILI MA SERVI!
“Il giusto vivrà per la sua fede”
Su questa frase presente nelle Scritture, il monaco agostiniano Martin Lutero costruì la base della sua “teologia della giustificazione”, con la quale cercava di capire e di spiegare quale fosse, per il cristiano, il modo più adatto per ottenere la salvezza, la “giustificazione”, appunto: ci salviamo attraverso le nostre buone opere, oppure è la Grazia di Dio che ci salva, indipendentemente dalle cose buone che facciamo nella vita?
La conclusione alla quale giunge è che nulla di tutto ciò che l’uomo può fare è in grado di renderlo giusto agli occhi di Dio, ma è Dio che, nella sua infinita misericordia, dona la salvezza agli uomini, purché essi credano nel valore salvifico della croce di Cristo.
Nessun’opera buona, nessuna penitenza o sacrificio possono pretendere di diventare un “merito” agli occhi di Dio: illudersi di conquistare la salvezza con le proprie forze è una sicura strada di perdizione, perché non sono le opere buone a rendere giusto l’uomo, ma è l’uomo reso giusto dalla fede a compiere opere buone.
Il pensiero protestante, dopo la cristi iniziale, ha suscitato interessanti riflessioni: dal Vaticano II, la Chiesa si sforza di uscire da una mentalità secondo la quale ci si salva se ci si comporta bene, da buoni cristiani, con tante buone opere, frequentando assiduamente la messa e i sacramenti, confessandosi di frequente per poter fare la Comunione in grazia di Dio, pregando intensamente ogni giorno, e così via.
Tutte cose giuste e sante, ovviamente: purché non si abbia la pretesa di pensare che siano queste cose ad assicurarci automaticamente la via al Paradiso.

Dio non è un distributore automatico di grazie che, in base a quante monetine di buone opere vi buttiamo dentro, ci dona il prodotto corrispondente a farci sentire salvi: è piuttosto la sua Grazia, e la fede con la quale noi rispondiamo alla sua Grazia, che ci donano la salvezza.
E questa strada verso la salvezza si manifesta, ha i suoi frutti nelle buone opere: frutti che, a buon conto, vengono dalla radice della Grazia, senza la quale ciò che facciamo è “inutile”.

E qui, entra in campo l’affermazione finale del Vangelo: “Siamo servi inutili.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Non è una dichiarazione di “inutilità” nel senso di indifferenza.
Non significa: “Non faccio più nulla, non prego più, non mi interesso della mia comunità perché, tant’è, è inutile alla salvezza”.
Significa, piuttosto, vivere la nostra fede nella consapevolezza che qualsiasi cosa facciamo è “inutile” alla nostra e all’altrui salvezza se non è profondamente radicata nella fede.
Al di là delle tante o poche cose che nella vita – anche nella vita di fede – riusciamo a fare.

Non sono le nostre buone, molte e grandi opere a farci ottenere la salvezza, anche se queste dovessero ottenerci le lodi degli uomini!
Potranno anche costruirci monumenti, apporre lapidi e targhe in nostro ricordo, dedicarci piazze e vie al termine della nostra vita per ciò che avremo fatto: saremo sempre “inutili servi”, perché ciò che conta non è l’utilità di ciò che abbiamo fatto, ma il fatto di essere stati “servi”, ovvero a servizio degli altri.
Qualsiasi cosa abbiamo fatto, in quantità o in qualità: Dio guarderà solamente alla nostra testimonianza di fede vissuta nel servizio
ai nostri fratelli.

BUONA DOMENICA e BUONA SETTIMANA
don Gabriele e don Marco