Se la ricchezza rende ciechi

Se la ricchezza rende ciechi (XXVI Tempo Ordinario)

Il brano evangelico di questa domenica ci aiuta a capire cosa vuol dire amare e soprattutto ad evitare alcuni rischi.
Nella parabola troviamo un uomo ricco, che non si accorge di Lazzaro, un povero che “stava alla sua porta”.
Questo ricco, in realtà, non fa del male a nessuno, non si dice che è cattivo.

Ha però un’infermità più grande di quella di Lazzaro, che pure era “coperto di piaghe”: quel ricco soffre di una forte cecità, perché non riesce a guardare al di là del suo mondo, fatto di banchetti e di bei vestiti.
Non vede oltre la porta di casa sua, dive giace il povero, perché non gli interessa quello che succede fuori.
Non vede con gli occhi perché non sente con il cuore.
Nel suo cuore è entrata la mondanità che anestetizza l’anima.
La mondanità è come un “buco nero” che ingoia il bene, che spegne l’amore, perché fagocita tutto nel proprio io.
Allora si vedono solo le apparenze e non ci si accorge degli altri, perché si diventa indifferenti a tutto.
Chi soffre questa cecità assume spesso comportamenti “strabici”: guarda con riverenza le persone famose, di alto rango, ammirate dal mondo, e distoglie lo sguardo dai tanti Lazzaro di oggi, dai poveri e dai sofferenti che sono i prediletti del Signore.

Ma il Signore guarda a chi è trascurato e scartato dal mondo.
Lazzaro è l’unico personaggio, in tutte le parabole di Gesù ad essere chiamato per nome. Il suo nome vuole dire: “Dio aiuta”.
Dio non lo dimentica, lo accoglierà nel banchetto del suo Regno, con Abramo, in una ricca comunione di affetti.
L’uomo ricco, invece, nella parabola non ha neppure un nome, la sua vita cade dimenticata, perché chi vive per se non fa la storia.
E un cristiano deve fare la storia! Deve uscire da se stesso, per fare la storia! Ma chi vive per se stesso non fa la storia.

L’insensibilità di oggi scava abissi invalicabili per sempre.
E noi siamo caduti, in questo momento, in questa malattia dell’indifferenza, dell’egoismo, della mondanità.

C’è un altro particolare nella parabola, un contrasto.
La vita opulenta di quest’uomo senza nome è descritta come ostentata: tutto in lui reclama bisogni e diritti.
Anche da morto insiste per essere aiutato e pretende i suoi interessi.
La povertà di Lazzaro, invece, si esprime con grande dignità: dalla sua bocca non escono lamenti, proteste o parole di disprezzo.
È un insegnamento valido: come discepoli di Gesù siamo chiamati a non ostentare apparenza e a non ricercare gloria; nemmeno possiamo essere tristi o lamentosi.
Non siamo profeti di sventura che si compiacciono di scovare pericoli o deviazioni; non gente che si trincera nei propri ambienti e emette giudizi amari sulla società, sulla Chiesa, su tutto e tutti, inquinando il mondo di negatività.
Lo scetticismo lamentevole non appartiene e a chi si ritiene amico di Dio e frequenta con assiduità la sua Parola.

Chi annuncia la speranza di Gesù è portatore di gioia e vede lontano, ha orizzonti non ha un muro che lo chiude; vede lontano perché sa guardare al di là del male e dei problemi.
Al tempo stesso vede bene da vicino, perché è attento al prossimo e alle sue necessità.
Il Signore oggi ce lo chiede: davanti ai tanti Lazzaro che vediamo, siamo chiamati ad inquietarci, a trovare vie per incontrare e aiutare, senza delegare sempre altri o dire: “Ti aiuterò domani, oggi non ho tempo, un’altra volta…”.
Questo è un peccato!
Il tempo donato agli altri è donato a Gesù, è amore che rimane, è il tesoro del cielo.
Ci aiuti la Vergine Maria a vivere con questo vivo desiderio.