Quaresima 2017
La Quaresima come lotta spirituale
Enzo Bianchi, il fondatore della Comunità di Bose, offre una meditazione su questo periodo dell’anno liturgico che ci accompagna alla celebrazione della Pasqua
Uno degli strumenti che la Chiesa ci propone per vivere la Quaresima come cammino verso la Pasqua è la lotta spirituale. Un tema, ahimè, purtroppo oggi un po’ desueto e poco ricordato. Ma è un tema che ha costituito, per le generazioni cristiane passate, uno degli strumenti più necessari per formare un cristiano maturo. Del resto ciascuno di noi deve fare una lotta spirituale dentro di sé per non ubbidire agli impulsi disordinati, alle pulsioni che ci abitano, oserei dire all’animale che è in noi e che non dobbiamo dimenticare. Il cammino di umanizzazione ci mette di fronte a delle scelte, a dei “no”; ed è anche un cammino in cui bisogna saper dire con libertà ma talvolta a caro prezzo dei “sì”. Ecco, la lotta spirituale è – secondo tutta la tradizione cristiana a partire da San Paolo, che ne ha parlato più volte nelle sue Lettere – contro il demonio e le potenze del male, le quali costantemente ci sollecitano.
• Come possiamo identificare, concretamente, queste potenze del male?
All’interno di questo combattimento spirituale la tradizione pre-monastica ha visto una lotta contro le “passioni madri”, che sono la libido erotica, la libido del possesso e la libido del dominio. E poi, di conseguenza, i figli di queste “passioni madri” sono i sette vizi capitali, come li ha chiamati la tradizione latina. Allora si tratta di fare un vero e proprio combattimento perché non si deve accettare la tentazione, ma si tratta di vincerla per essere più liberi e soprattutto più capaci di amore.
• Combattimento che inizia con il digiuno del Mercoledì delle Ceneri. Si tratta solo di un esercizio di auto-disciplina o assume anche un altro significato?
Fin dalla tradizione ebraica e poi in quella cristiana, il digiuno si è caricato di significati diversi a seconda dei tempi. Oggi lo comprendiamo in modo diverso dal passato, quando il digiuno era semplicemente mortificazione, passaggio attraverso astinenze, fatiche, sofferenze per ritemprarci e avere un carattere più forte. La sensibilità di noi contemporanei ci fa intendere il digiuno da un lato come strumento per dimostrare che siamo ancora padroni del nostro corpo, ma soprattutto diventa un digiuno per la condivisione. Per noi che viviamo in un mondo ricco e consumista, digiunare significa imporci una sobrietà per condividere con gli altri. È una forma di estensione della carità. È il digiuno come lo chiedevano i profeti, già nell’Antico Testamento. È il digiuno indicato da Isaia; che consiste nel supplire ai bisogni degli affamati, nel liberare gli oppressi, nell’andare in soccorso a quelli che non hanno nulla.
• “E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano” (Mt 6,16). Quanto è importante far proprio questo passo del Vangelo per comprendere il senso profondo del digiuno?
È importantissimo e credo che chi pratica il digiuno lo sa bene. Quando una persona digiuna, soprattutto nei primi giorni è assalita da nervosismi, diventa più scontrosa, a volte addirittura si rattrista. Lo sappiamo: il digiuno può essere un esercizio che anziché renderci più buoni ci rende più acidi e più nervosi. E in questo caso, piuttosto che digiunare e poi turbare la vita fraterna, è meglio allora non digiunare. Gesù sicuramente vedeva la possibilità di corruzione del digiuno, innanzitutto nell’ipocrisia, nel farsi vedere; e poi anche in un digiuno che soddisfa il proprio “appetito religioso”, la parvenza di ascesi. E quest’ultimo non è un digiuno che mira alla carità, che è sempre il fine di ogni atteggiamento cristiano.